Ciabattone
2015-10-29 17:13:51 UTC
E' il titolo di un libro autobiografico dei Manlio Cancogni,
scrittore recentemente scomparso a 99 anni, che ho finito di
leggere qualche giorno fa.
Il libro che ho comprato qualche settimana fa è del 1965, non
so quando sia stato scritto.
La prima metà tratta di ricordi d'infanzia, mentre la seconda
parte parla del percorso d'avvicinamento
dell'Autore/Personaggio narrante alla "linea del Tomori" ossia
la linea su cui erano attestate le truppe italiane in Albania
nella primavera del 1941.
Silvio, il personaggio del romanzo (immagino anche dell'autore)
è tenente (di complemento) del "52º Cacciatori".
Erano quelli con la cravatta rossa, eredità delle "camicie
rosse" di Garibaldi.
Un'altra eredità "garibaldina" era l'usanza di
rispondere "ubbidisco" agli ordini dei superiori.
(C'era una caserma di "cravatte rosse" anche qui vicino, mi
pare a Tricesimo.)
Il tenente arriva in treno (non specifica dove e da dove), va
al deposito dove apprende che mentre il reggimento è partito
per imbarcarsi a Bari, ci sono due battaglioni, quello dei
complementi e quello delle reclute.
Spera di finire nel più sicuro battaglione reclute, invece no,
va nei complementi, prima compagnia fucilieri, destinato
anch'esso alla linea.
In febbraio il battaglione parte; la tradotta attraversa
l'Appennino, scende lungo la costa adriatica fino a Bari. La
truppa nei carri merci adattati, gli ufficiali in carrozza.
Dopo una breve sosta s'imbarca e di notte parte, "Gli ufficiali
s'erano tolte le giacche, avevano infilato i salvagenti,
vagavano per la nave, con gli scarponi slacciati, ritardando
l'ora di chiudersi nelle cabine" e al mattino si sveglia a
Durazzo.
Il battaglione "autocarrato" si dirige a sud, verso il fronte,
arriva tra le montagne. Scendono dai camion al passo Paraboari
(?) nelle vicinanze dei monti Scindeli, Trebescini e Tomori.
Qui hanno il primo contatto con la guerra:
"Due ufficiali agitavano le braccia incitandoci.
- Via via, fuori di qui! - gridavano.
Noi non sapevamo il perché di quella fretta [...]
D'un tratto s'è udito uno schianto, non avremmo potuto dire
dove, ma pareva più in basso di noi, e ci siamo fermati
guardandoci in viso, con un'allegra sorpresa. Era il primo
rumore della guerra che si udiva; forse un colpo del mortaio
da 81, quel terribile mortaio di cui si parlava come di un
personaggio."
Avanti a piedi per la mulattiera. I camion vanno al fronte
dell'ottavo corpo d'armata, lungo la montagna di fronte.
Passano vicino a una batteria di artiglieria, quattro pezzi
lunghi e neri.
"Di nuovo scraaant, lo scoppio del mortaio. Già si sapeva che
quel mortaio tirava a un ponte giù in basso su cui passavano i
rifornimenti diretti alle truppe del quarto; sapevamo che in
linea d'aria distavamo circa dieci chilometri dai greci, [...]
Scraaant, scraaant... Ogni cinque minuti si udiva questo
schianto, ..."
Il battaglione parte per la linea. A quel punto il maggiore
ordina al tenente di restare lì con un caporale, otto uomini e
il pezzo da quarantasette (l'inutile anticarro), in attesa del
mulo che gli verrà inviato in seguito.
Il gruppetto, sollevato, passa una settimana lì, nell'attesa
del mulo. Lì vicino c'è la sussistenza del corpo d'armata,
nuotano nell'abbondanza, la roba arriva dai porti ma mancano i
muli per portarla in linea e si accumula. Carne, pasta, pane,
formaggio, conserva, caffè, marmellata, cioccolata, vino,
cognac.
L'artiglieria fa tiri di prova, passano dei prigionieri greci,
scortati da carabinieri. Si cominciano a vedere aerei, amici e
nemici.
Un mattino l'artiglieria fa sul serio. La batteria da 119, più
altre due poco lontano.
Appare il mulo.
A sera arrivano presso la linea del fronte, al comando del
reggimento.
In zona ci sono cacciatori e alpini, presso il monte Spadarit.
Il tenente viene inviato in linea. Va a salutare i suoi
soldati, e non visto sente dire, di un capitano:
- Ti dico che l'hanno ferito.
- Fosse vero, morto dovrebbe essere. Scommetto che gli hanno
sparato i nostri.
- Che credi? Io l'avrei fatto per davvero. Quando l'avessi
avuto a tiro, davanti, nella confusione: "Capitano!" e poi,
pim!
I soldati si accorgono di lui:
- Tenente si faceva così per dire...
- Ecco sparargli proprio, magari no. Ma se per esempio me lo
vedessi nella barella ferito, aspetterei d'essere soli sul
sentiero, e allora giù, lo rovescerei nella scarpata di sotto,
e buonanotte.
- Stanotte vado in linea - dice il tenente
- Ecco, i buoni se ne vanno e le carogne restano.
Il tenente parte per la linea con la corvèe. Dopo un po' gli
consigliano di mettere fango sull'elmetto, che luccica troppo.
Nella nebbia arrivano in una trincea, trova tutti dormienti
nelle "tane".
Un capitano esce, e al rientro, irato:
- Non sai più dove mettere i piedi. E' tutto un porcile. Vai
nel camminamento e anche lì ci monti sopra. I soldati la fanno
in trincea ormai. Non hanno il coraggio di uscire fuori.
Bisognerebbe fare rapporto.
Si fa giorno, correndo per una zona insicura il tenente arriva
alla prima compagnia, e ride.
FINE =========
C'è qualche corrispondenza con la storia reale?
La storia del libro non pare inventata.
scrittore recentemente scomparso a 99 anni, che ho finito di
leggere qualche giorno fa.
Il libro che ho comprato qualche settimana fa è del 1965, non
so quando sia stato scritto.
La prima metà tratta di ricordi d'infanzia, mentre la seconda
parte parla del percorso d'avvicinamento
dell'Autore/Personaggio narrante alla "linea del Tomori" ossia
la linea su cui erano attestate le truppe italiane in Albania
nella primavera del 1941.
Silvio, il personaggio del romanzo (immagino anche dell'autore)
è tenente (di complemento) del "52º Cacciatori".
Erano quelli con la cravatta rossa, eredità delle "camicie
rosse" di Garibaldi.
Un'altra eredità "garibaldina" era l'usanza di
rispondere "ubbidisco" agli ordini dei superiori.
(C'era una caserma di "cravatte rosse" anche qui vicino, mi
pare a Tricesimo.)
Il tenente arriva in treno (non specifica dove e da dove), va
al deposito dove apprende che mentre il reggimento è partito
per imbarcarsi a Bari, ci sono due battaglioni, quello dei
complementi e quello delle reclute.
Spera di finire nel più sicuro battaglione reclute, invece no,
va nei complementi, prima compagnia fucilieri, destinato
anch'esso alla linea.
In febbraio il battaglione parte; la tradotta attraversa
l'Appennino, scende lungo la costa adriatica fino a Bari. La
truppa nei carri merci adattati, gli ufficiali in carrozza.
Dopo una breve sosta s'imbarca e di notte parte, "Gli ufficiali
s'erano tolte le giacche, avevano infilato i salvagenti,
vagavano per la nave, con gli scarponi slacciati, ritardando
l'ora di chiudersi nelle cabine" e al mattino si sveglia a
Durazzo.
Il battaglione "autocarrato" si dirige a sud, verso il fronte,
arriva tra le montagne. Scendono dai camion al passo Paraboari
(?) nelle vicinanze dei monti Scindeli, Trebescini e Tomori.
Qui hanno il primo contatto con la guerra:
"Due ufficiali agitavano le braccia incitandoci.
- Via via, fuori di qui! - gridavano.
Noi non sapevamo il perché di quella fretta [...]
D'un tratto s'è udito uno schianto, non avremmo potuto dire
dove, ma pareva più in basso di noi, e ci siamo fermati
guardandoci in viso, con un'allegra sorpresa. Era il primo
rumore della guerra che si udiva; forse un colpo del mortaio
da 81, quel terribile mortaio di cui si parlava come di un
personaggio."
Avanti a piedi per la mulattiera. I camion vanno al fronte
dell'ottavo corpo d'armata, lungo la montagna di fronte.
Passano vicino a una batteria di artiglieria, quattro pezzi
lunghi e neri.
"Di nuovo scraaant, lo scoppio del mortaio. Già si sapeva che
quel mortaio tirava a un ponte giù in basso su cui passavano i
rifornimenti diretti alle truppe del quarto; sapevamo che in
linea d'aria distavamo circa dieci chilometri dai greci, [...]
Scraaant, scraaant... Ogni cinque minuti si udiva questo
schianto, ..."
Il battaglione parte per la linea. A quel punto il maggiore
ordina al tenente di restare lì con un caporale, otto uomini e
il pezzo da quarantasette (l'inutile anticarro), in attesa del
mulo che gli verrà inviato in seguito.
Il gruppetto, sollevato, passa una settimana lì, nell'attesa
del mulo. Lì vicino c'è la sussistenza del corpo d'armata,
nuotano nell'abbondanza, la roba arriva dai porti ma mancano i
muli per portarla in linea e si accumula. Carne, pasta, pane,
formaggio, conserva, caffè, marmellata, cioccolata, vino,
cognac.
L'artiglieria fa tiri di prova, passano dei prigionieri greci,
scortati da carabinieri. Si cominciano a vedere aerei, amici e
nemici.
Un mattino l'artiglieria fa sul serio. La batteria da 119, più
altre due poco lontano.
Appare il mulo.
A sera arrivano presso la linea del fronte, al comando del
reggimento.
In zona ci sono cacciatori e alpini, presso il monte Spadarit.
Il tenente viene inviato in linea. Va a salutare i suoi
soldati, e non visto sente dire, di un capitano:
- Ti dico che l'hanno ferito.
- Fosse vero, morto dovrebbe essere. Scommetto che gli hanno
sparato i nostri.
- Che credi? Io l'avrei fatto per davvero. Quando l'avessi
avuto a tiro, davanti, nella confusione: "Capitano!" e poi,
pim!
I soldati si accorgono di lui:
- Tenente si faceva così per dire...
- Ecco sparargli proprio, magari no. Ma se per esempio me lo
vedessi nella barella ferito, aspetterei d'essere soli sul
sentiero, e allora giù, lo rovescerei nella scarpata di sotto,
e buonanotte.
- Stanotte vado in linea - dice il tenente
- Ecco, i buoni se ne vanno e le carogne restano.
Il tenente parte per la linea con la corvèe. Dopo un po' gli
consigliano di mettere fango sull'elmetto, che luccica troppo.
Nella nebbia arrivano in una trincea, trova tutti dormienti
nelle "tane".
Un capitano esce, e al rientro, irato:
- Non sai più dove mettere i piedi. E' tutto un porcile. Vai
nel camminamento e anche lì ci monti sopra. I soldati la fanno
in trincea ormai. Non hanno il coraggio di uscire fuori.
Bisognerebbe fare rapporto.
Si fa giorno, correndo per una zona insicura il tenente arriva
alla prima compagnia, e ride.
FINE =========
C'è qualche corrispondenza con la storia reale?
La storia del libro non pare inventata.
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Non ho fatto il
Non ho fatto il